Il farro è considerato la più antica tipologia di cereale coltivata dall’uomo e per molto tempo ha avuto un ruolo fondamentale nell’alimentazione umana. La sua coltivazione, tuttavia, è stata relegata in alcune zone isolate o lentamente soppiantata dall’introduzione della coltivazione del grano, che garantisce una maggiore resa.
Nella nostra vallata, così come nel resto dell’Alta Valle del Velino e più in generale del Centro-Italia, la coltivazione del farro ha rappresentato fino a qualche tempo fa una delle attività predominanti del mondo contadino, incentrato su pastorizia e agricoltura: infatti, era un prodotto impiegato per uso familiare, che richiedeva piccoli interventi colturali su appezzamenti di terreni anche poco estesi.
Risulta evidente pertanto il perché sia l’ingrediente principale di molti piatti tradizionali, spesso molto poveri, come a rimarcare la sua importanza nutrizionale ed economica. Con esso si preparavano minestre, zuppe, secondi piatti in umido o con l’aggiunta di pomodoro (solo nel secondo dopoguerra, quando la coltivazione del pomodoro giunse nel territorio).
I comitati che si sono susseguiti negli anni, e ultimamente l’Associazione, si sono attivamente adoperati nel promuovere la riscoperta degli antichi sapori e la loro diffusione tra chi non è del posto attraverso l’istituzione di sagre.
In particolare, durante i festeggiamenti in onore di “Santa Maria della Neve” è stata istituita la sagra delle “colenne” o del “farrecillu” (come è più conosciuta tra i Bacugnesi), che consiste nella preparazione di una minestra a base di farro e che ha riscosso grande successo fin da subito tra i partecipanti all’evento.
Questo piatto molto povero appartiene alla storia del nostro paese perché un tempo era preparato per i festeggiamenti di Sant’Antonio abate. Il 16 gennaio nelle frazioni di Picciame, Fontarello, Steccato, Bacugno e Figino alcune famiglie si adoperavano alla preparazione della minestra all’interno di un caldaio e da questo attingevano tutte le altre famiglie. Questo momento di condivisione, in un’epoca in cui la collaborazione e il reciproco aiuto avevano un radicato valore etico-sociale, era un modo come un altro per stare insieme e festeggiare e riproporre questo piatto all’interno della nostra festa è in linea con quella visione di unità paesana.
Si prende una quantità di farro spezzato corrispondente ad una “iummella” (un’approssimativa unità di misura locale che equivale alla quantità che si riesce a prendere con un pugno della mano) a persona e si mette a bagno in un recipiente per un quarto d’ora circa. Passato tale tempo, si scola e si mette all’interno di un “callaro” (il caldaio, antico recipiente di rame per la cottura dei cibi) sul fuoco e si aggiunge, nelle quantità necessarie, cipolla a pezzi, lardo tagliato a dadini, una patata, fagioli già lessati e una parte di sugo di pomodoro preparato in precedenza. Si lascia cuocere per circa trenta minuti, mescolando il tutto continuamente per evitare che il farro si bruci. Una volta cotto si mette nelle scodelle, si condisce con il sugo rimasto e una spolverata di pecorino locale.
Durante la sagra che si svolge il 5 Agosto si può degustare una versione della ricetta leggermente rivisitata per accontentare tutti i tipi di gusto.
Per tutte le informazioni descritte nel presente articolo si fa riferimento alla memoria delle persone anziane del paese e a quanto è già stato scritto negli opuscoli della festa pubblicati negli anni precedenti.